ORTODOSSIA - PRIMA INFORMAZIONE
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IL CRISTIANESIMO FRA I POPOLI SLAVI
Mentre la molteplicità delle lingue nel Cattolicesimo è un fenomeno recente, nell’Ortodossia è connaturale, essendo la Chiesa ortodossa formata da una pluralità di Chiese particolari radicate sul territorio. Un esempio preclaro sono le Chiese slave, evangelizzate dai Santi Cirillo e Metodio, ora espressione della grande maggioranza dell’Ortodossia (75%).
- I Santi Cirillo e Metodio e i popoli slavi
- I fratelli di Salonicco Costantino il filosofo (“Cirillo”) e Metodio (monaco e poi vescovo) operano su mandato dell’Impero romano d’Oriente nel territorio moravo-pannonico (ora Cechia, Slovacchia e Ungheria). Essi fissano i fonemi della lingua slava, traducono i testi liturgici ed evangelizzano secondo la “retta fede” i popoli slavi, con l’approvazione del patriarcato di Costantinopoli e del Papa di Roma. Dopo una formazione approfondita a Costantinopoli essi furono inviati in Moravia dall’imperatore Michele III, in seguito alla richiesta del principe Rastislav della Grande Moravia, il quale chiedeva “un vescovo e un maestro (…) che fosse in grado di spiegare loro la vera fede cristiana nella loro lingua” (863). La predicazione e la celebrazione delle funzioni sacre, nella lingua capita dal popolo, ebbero grande successo, ma insieme eccitarono l’ostilità del clero tedesco, che accusò a Roma i due fratelli di Salonicco di eresia. Questi ultimi tuttavia, perseguitati e imprigionati, ebbero ampia approvazione del loro operato dai papi Adriano II (867) e Giovanni VIII (880). Analogo riconoscimento essi ebbero anche dall’imperatore bizantino e dal patriarca Fozio, in quel tempo in piena comunione con Roma (881).
“Entrambi i fratelli - scrive Giovanni Paolo II -, consapevoli dell’antichità e della legittimità di queste sacre tradizioni, non ebbero dunque timore di usare la lingua slava per la liturgia, facendone uno strumento efficace per avvicinare le verità divine a quanti parlavano in tale lingua” e seppero “prendere una chiara posizione in tutti i conflitti che allora turbavano le società slave in via di organizzazione, assumendone come proprie le difficoltà e i problemi, inevitabili per dei popoli che difendevano la propria identità sotto la pressione militare e culturale del nuovo impero romano-germanico”. In Bulgaria tra il secolo IX e il secolo X avviene una interessante elaborazione culturale fra gli slavi e la fede cristiana, e nasce una Chiesa integralmente slava sotto il profilo linguistico-culturale. Il regno bulgaro di Boris e di Simeone si trova così ad essere un nuovo punto di irraggiamento ideologico e culturale dell’Impero d’Oriente. Nasce il cirillico (lettere maiuscole greche: onciali). Vengono a trovarsi, osserva Enrico Morini, da un lato gli slavi cattolici con la liturgia latina e dall’altra gli slavi ortodossi con la liturgia costantinopolitana in slavo cirillico, e sorge un polo cristiano slavo, con i centri culturali di Ochrida e Preslav. La Chiesa bulgara divenne pertanto l’inconsapevole laboratorio da cui uscì un modello culturale di ortodossia, alternativo rispetto a quello greco.
La Slavia ortodossa non è un fenomeno culturalmente omogeneo. Mentre la Bulgaria conserva le forme arcaicizzate, la Serbia è una mescolanza di elementi romanico pugliesi e bizantini e la Macedonia risente di influenze greche. La Chiesa di Serbia si rifà alla revisione dell’antica traduzione bulgara fatta da S. Sava, primo arcivescovo autocefalo (1219), e delle leggi ecclesiastiche raccolte nel Nocchiero di S. Sava. La Chiesa romena risente dei tentativi di ellenizzazione del secolo XVIII dei ricchi borghesi (fanarioti) e dell’opera monumentale della Filocalia di Dumitru Staniloae (idioma neolatino). Fra tutte emerge progressivamente per importanza quella di Russia.
- La Chiesa russa
- Ad affermarsi fra le Chiese ortodosse slave è la Chiesa russa, che rivendica prima l’autocefalia e poi l’indipendenza da Costantinopoli.
La cronaca antico-russa attribuisce l’arrivo dei Vichinghi a una chiamata degli abitanti di Novogorod a metà del secolo IX. Le tribù slave si svilupparono attorno all’asse fluviale Novogorod-Kiev. Ora, verso la fine del secolo X, Bisanzio converte Kiev e Kiev converte la Russia, che diviene uno degli Stati prestigiosi europei con la conversione al Cristianesimo nel 988 del principe Vladimir di Kiev, giungendo a minacciare Bisanzio. Dopo il battesimo della principessa Olga, vedova del re Igor (955), il figlio Snjatoslav ristabilisce il paganesimo tradizionale. Il figlio di quest’ultimo, Vladimir (980-1015), invece, preoccupato di creare coesione ideologica fra etnie diverse, è sedotto dal rito bizantino, si fa battezzare e sposa la figlia dell’imperatore di Costantinopoli di nome Anna. Gli scritti kieviani del secolo XI parlano di vera conversione interiore. Di fatto, ordina di distruggere gli idoli e impegna il popolo di Kiev a ricevere il battesimo nelle acque del Dnepr. È però suo figlio Jaroslav il Saggio (1019-1054) a promuovere uno stretto legame fra Chiesa e Stato, incoraggiando la fondazione di diocesi, la costruzione di cattedrali, la promozione di studi e la scrittura dei testi liturgici e sacri. “Gli stretti rapporti culturali e religiosi che vengono a legare la Russia e Costantinopoli non solo trascinano la Chiesa russa nello scisma di Michele Cerulario, ma coll’andar del tempo crearono nel popolo russo e prima di tutto nei suoi monaci uno spirito di opposizione verso l’Occidente che ebbe conseguenze assai importanti”.
Un contributo essenziale allo sviluppo del Cristianesimo nella Rus’ di Kiev viene dal monachesimo, a metà del secolo XI. Antonio (1010-1073) fissa la sua dimora nelle grotte delle colline di Kiev vivendo da eremita e Teodosio (1036-1074) moltiplica i monasteri e introdurre la regola cenobitica. Si forma così una corrente ascetica che riconosce e venera i primi santi russi Boris e Gleb, principi uccisi ingiustamente dal fratello Snjatopolk per questioni dinastiche, considerati vittima di una ingiustizia come Cristo. Si avvia così una santità laica, scrive Antoine Niviere, che si propone “di santificare la vita profana per mezzo della meditazione, dell’elemosina e della temperanza”. La Chiesa russa, puntando sulla unità nazionale, comincia già al tempo di Jaroslav a sganciarsi da Costantinopoli. Nasce così la consapevolezza di una nuova nazione la Rus’, che dal Cristianesimo attinge forza ed identità. “Ora - afferma il metropolita Ilarione nel 1030 -, nuova è la dottrina, nuovi sono gli otri, nuovi i popoli e il tutto sarà conservato. Così è. La fede piena di grazia ha invaso tutta la terra, anche la nostra nazione della Rus’ (…). E sulla nostra terra vuota, arida, disseccata dal gelo dell’idolatria, è improvvisamente sgorgata la sorgente dell’Evangelo che scorre per nutrire l’intero nostro paese”.
Con la morte del sovrano Jaroslav si frammenta lo Stato, per assicurare un territorio ai figli maschi. Novogorod riesce a rendersi autonoma dal potere centrale, anche se il principe è esautorato dall’assemblea dei cittadini (veče).
- Periodo mongolo. Kiev decade ed è invasa dai mongoli, dall’“orda d’oro” capitanata da un nipote del Gengis Khan (1237), saccheggiata e incendiata (1240). È risparmiata invece Novogorod e si crea una smembratura fra nord e sud: al nord si sviluppa una influenza della Lituania e della Polonia. In questo periodo appare l’ideale eroico con Alessandro Nevskij, valoroso guerriero e stratega, che riporta una vittoria sui tartari (questo è il nome assunto dai mongoli) sulla Neva (1240), accettando poi il vassallaggio mongolo. Il figlio di questi Daniele inizia la dinastia dei principi moscoviti. Nel 1328 c’è il trasferimento della sede metropolitana a Vladimir (1300) e poi a Mosca, che diviene il centro della cristianità russa del nord, con un progressivo allontanamento da Bisanzio. La Chiesa si pone come baluardo nazionale ed ottiene il diritto di inalienabilità dei beni temporali del clero.
- Periodo moscovita. Segue un risveglio nazionale che allenta ulteriormente i legami con Costantinopoli, cosicché quando questa cade, si apre la strada alla autocefalia. Ivan III (1462-1505) si afferma, entrando nella storia più ampia: sposa Zoe della dinastia dei Paleologhi di Bisanzio, vanta parentele con gli imperatori romani e afferma che S. Andrea era arrivato fino in Crimea. Con tali premesse, nel 1453 Mosca si proclama terza ed ultima Roma, dopo l’eresia latina di Roma e l’invasione ottomana di Costantinopoli. Il monaco Filofei portò l’idea alla sua conseguenza estrema: “Tutti i regni cristiani sono caduti, al loro posto c’è solamente il regno di nostro Signore secondo i libri profetici; è l’impero russo. Infatti sono cadute due Roma, ma la terza no e non ci sarà una quarta”.
- Periodo imperiale. Lo spirito dello scisma (raskol), di carattere escatologico, giustifica l’avvento di Pietro il Grande (1672-1725), che, ispirandosi al modello protestante, abolisce il patriarcato (1720) e con un regolamento ecclesiastico impone una direzione collegiale, con 12 membri del Sinodo, nominati dall’imperatore e controllati da un funzionario laico (1722). L’arcivescovo Teofane Prokopovič giustifica il gesto parlando di autorità di diritto divino e di autorità laica per il bene comune. Lo Stato si libera così dall’influenza della Chiesa e persegue la suggestione del secolo dei lumi, approfittando del vuoto spirituale nel quale la società era caduta. Pietro il Grande a sua volta può mobilitare il clero ai suoi fini, riduce il numero dei religiosi, abolisce il segreto sacramentale per i delitti politici, così da diventare per la Chiesa il sovrano assoluto. Molte proprietà dei monasteri passano al demanio pubblico, soprattutto con Caterina II, che chiude oltre la metà dei monasteri per le ingenti spese di manutenzione che comportavano.
- Periodo sovietico. Il vuoto creatosi con la caduta della monarchia (1917), spiana la strada alla rivoluzione di ottobre 1917. L’anno seguente Lenin separa Chiesa e Stato, confisca i beni ecclesiastici, moltiplica le uccisioni. A nulla era valso per salvare lo Stato il ripristino del patriarcato con la nomina di Tichon (1864-1925). Alla sua morte, Sergio Stragorodskij esprime fedeltà al potere, rimanendo facente funzione. Ci sono chiese e monasteri distrutti, circa 600 vescovi e 40.000 preti ortodossi eliminati tra il 1918 e il 1938, cioè l’80% del clero esistente prima della rivoluzione. Una campagna di leggi oppressive, di secolarizzazione delle Chiese, di educazione atea, di discriminazione in tutti i settori della vita pubblica distruggono gran parte di ciò che restava della Chiesa russa. Nel 1970 è concessa l’autocefalia all’America del Nord e alla diocesi del Giappone. Il patriarca attuale è Kirill Gundjaev, eletto il 30 gennaio 2009.
(G. Dal Ferro)