ORTODOSSIA
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LA CHIESA SERBA

L’evangelizzazione dei popoli slavi si rifà ai Santi Cirillo e Metodio, che evangelizzarono l’attuale Bulgaria (869). I sovrani desideravano di avere un capo ecclesiastico sul proprio territorio, il più possibile autonomo. L’area occupata dai Serbi aveva tre importanti centri: Spalato, Durazzo e Sirusio. La comunità cristiana non era allora ancora divisa dallo scisma. La Serbia del tempo era sommersa dall’espansione bulgara. I principi erano dignitari dell’imperatore e i loro territori furono inclusi nel sistema bizantino. Nel 1018 il territorio serbo si trovò in parte direttamente sotto Bisanzio e in parte governato da principi locali. Il primo sovrano serbo sembra essere Vukan, anche se non ci sono di lui molte notizie.
  • Stato autonomo e Chiesa autocefala
    • Nelle guerre fra Bisanzio e l’Ungheria si affermò la Serbia, dove divenne grande zupano Stefano Nemanja capostipite che avrebbe retto la Serbia fino al 1371. Stefano Nemanja alla fine della vita abdicò in favore del figlio Stefano secondogenito e si ritirò in monastero a Studenica con il nome di Simeone. Si recò poi sul Monte Athos dove raggiunse il figlio Sava. Morì nel 1199. Le sue spoglie furono trasferite in Serbia ad opera di Sava e stillavano un odoroso olio santo. Stefano Nemanja ottenne dal Papa l’incoronazione a re, titolo sopravvissuto fino al 1918. La corona rafforzò l’autorità del sovrano, che ottenne un arcivescovado. Fu scelto a ricoprirlo il fratello del re Sava nella sede di Ziča, il quale si adoperò per l’organizzazione della Chiesa. “Con l’istituzione del culto di San Simeone, al quale si unì ben presto quello di Sava e quindi degli altri Nemanja, l’arcivescovado autocefalo serbo creò una propria tradizione e assicurò la propria individualità nell’ambito delle Chiese di lingua serba” (Sima Ćirković): Sava fu sepolto nel monastero di Mileševa, dove fu venerato fino al secolo XVI, quando il corpo fu rimosso e bruciato dai Tartari.

  • Il patriarcato
    • La creazione dell’impero di Serbia scatenò le ire dell’imperatore Giovanni Cantacuzeno di Bisanzio che si riteneva danneggiato dalla politica di Dušan. Convinse, così, il Patriarca di Costantinopoli a scomunicare nel 1353 l’imperatore, il Patriarca, la Chiesa e il popolo serbi per aver usurpato il titolo imperiale e patriarcale dopo la conquista da parte serba delle terre prima appartenenti all’impero romano d’Oriente. Furono fatti molti tentativi da parte serba di ricucire lo strappo, soprattutto con la Chiesa di Costantinopoli. A scuotere l’impero bizantino e quello serbo c’erano i Turchi che avevano iniziato un’avanzata in Grecia e nei Balcani: bisognava lasciare da parte le rivalità tra i due imperi cristiani: fu così che grazie alla mediazione dei monaci dell’Athos che erano sia Serbi che Greci, nel 1375 la pace fu fatta.
      Durante questi eventi, sul trono di San Sava sedette, tra gli altri, il patriarca Jefrem. Monaco ed asceta, diede un grande impulso all’anacoretismo e alla vita contemplativa. Con i Turchi in casa, il clero serbo, spinto dal patriarca Jefrem, si rinchiuse nei monasteri dedicandosi ad uno stretto ascetismo che diede origine a numerose opere d’arte che influenzarono la letteratura e la pittura serba. Il popolo stesso si era riunito spiritualmente intorno ai monaci asceti: dopo la sconfitta in Kosovo, l’unica cosa che poteva tenere insieme i Serbi era la fede.

  • La dominazione turca
    • La città di Costantinopoli cadde in mano turca nel 1453, la Bulgaria e il despostato di Serbia nel 1459, la Bosnia nel 1463, l’Erzegovina nel 1482 e il Montenegro nel 1449. La Chiesa ortodossa serba subì lo stesso destino del suo popolo. I Serbi, sotto il dominio ottomano, non avevano diritti legali, ma solo il diritto di vivere se avessero pagato una speciale imposta al sultano. Durante il dominio turco i vescovi non potevano riunirsi per nominare un Patriarca, per cui l’ultimo eletto fu Arsenio II.
      I Turchi bruciavano villaggi e città, devastavano chiese e monasteri. Molti Serbi deciso di fuggire a nord e rifugiarsi nei territori dell’Austria dove, però, non sempre venivano accolti amichevolmente a causa del loro essere ortodossi in un Paese cattolico. Anche i monaci fuggirono portando con sé reliquie e opere d’arte.
      Nella metà del XVI secolo, le zone abitate dai Serbi furono utilizzate dai Turchi per raggiungere i territori di conquista verso ovest. Fu così che le autorità ottomane decisero di attuare una politica distensiva nei confronti delle popolazioni, facendo generose concessioni alla Chiesa ortodossa. Il serbo Mehmed Sokolović fece carriera nei ranghi dell’amministrazione ottomana, fino a diventare gran visir: fu lui che, dall’alto della sua posizione, giocò un ruolo importante nel rinnovamento del patriarcato nel 1557, creando patriarca suo fratello Makarije. Alla giurisdizione del rinato patriarcato di Peć vennero sottomesse le Chiese di Bulgaria e Ungheria oltre a quelle già facenti capo alla Chiesa serba prima della conquista turca. Da allora dall’Ungheria all’Albania più di 40 diocesi erano sottomesse al trono di San Sava. Fu concessa la costruzione di nuovi monasteri e il restauro di quelli distrutti; il Patriarca venne considerato una personalità di rilievo e fu dotato di una scorta armata.
      Le continue battaglie dell’impero ottomano per la conquista dell’Europa, col passare del tempo, fiaccarono le popolazioni serbe nei cui territori passava l’esercito di Istanbul. Molti Serbi decisero di lasciare i loro paesi che spesso venivano devastati dalle battaglie. Durante il conflitto austro-turco del 1737-1739, il patriarca Arsenije IV (1728-1737) decise di far sollevare il popolo contro gli Ottomani, confidando in un supporto austriaco che tardò, determinando il fallimento dell’impresa. Prima che i Turchi si vendicassero, altri Serbi fuggirono oltre il Danubio e la Sava. Non tardò, invece, la repressione: chiese e monasteri furono bruciati, distrutti o trasformati in moschee, tantissimi cittadini furono catturati e venduti come schiavi in Asia o convertiti forzatamente all’Islam. Non fu più permesso costruire nuove chiese; non fu più concessa la celebrazione dei riti se non in occasione di feste speciali e dietro autorizzazione delle autorità. I monasteri che sopravvissero alla distruzione rimasero le uniche oasi di spiritualità e di conservazione delle tradizioni culturali e religiose dei Serbi.

  • L’abolizione e il ristabilimento del patriarcato
    • Dopo le grandi migrazioni della fine del XVII secolo, la popolazione serba era notevolmente diminuita; continuavano i rapimenti di giovani da inserire nel corpo dei giannizzeri e le conversioni forzate. Il clero era sottoposto al controllo dell’amministrazione ottomana ed aveva autorità solo all’interno dei monasteri. Di questo approfittò il patriarcato ecumenico di Costantinopoli che ottenne dal potere del pascià di appropriarsi del patriarcato di Peć. L’ultima patriarca serbo fu Vasilije Brkić (1763-1765): fu dichiarato nemico dell’impero ottomano ed esiliato a Cipro; il suo successore, il greco Kalinik II (1765-1766), si dimise e, con altri cinque vescovi, chiese di abolire il patriarcato di Peć al Patriarca di Costantinopoli. Quest’ultimo convinse il sultano a dichiararlo decaduto (11 settembre 1766). Tutti i vescovi serbi furono sostituiti da prelati greci che sono ricordati per la mancanza di considerazione per le necessità delle popolazioni loro affidate.
      La situazione cambiò solo nel XIX secolo, quando, spinti dalle rivolte guidate nel 1804 da Karađorđe Petrović e nel 1815 da Miloš Obrenović i Turchi decisero di creare un principato serbo autonomo all’interno dell’impero ottomano. La riacquistata autonomia serba fu l’inizio per la rinascita del patriarcato nazionale. Nel 1831 il Patriarca ecumenico acconsentì al riconoscimento dell’autonomia della Chiesa serba e richiamò a Costantinopoli il clero greco.
      Il primo metropolita della rinnovata Chiesa fu Melentije Pavlović (1831-1833); era stato archimandrita nel monastero di Vracevsnica e combattè valorosamente nelle due sommosse popolari. Durante le lotte dinastiche per il potere tra le famiglie Karađorđević e Obrenović, anche la Chiesa ebbe alcuni problemi: il metropolita Pavle fu esiliato per motivi politici e sostituito dal suo allievo Mihailo Jovanović. Mihailo si concentrò sulla formazione dei sacerdoti, s’impegnò nella rinascita spirituale e combattè per gli interessi dei Serbi che vivevano nelle zone dell’impero ottomano al di fuori del principato di Serbia. Durante il suo episcopato, la Serbia fu riconosciuta internazionalmente come Stato sovrano e nel 1882, sotto Milan Obrenović divenne un regno. Venuto in conflitto col governo per motivi di politica estera, fu esiliato nel 1883, ma fece ritorno in patria nel 1889, quando re Milan IV abdicò.
      Fu anche il primo metropolita della Chiesa serba nuovamente autocefala (1879). Gravi lutti e ingenti danni furono sofferti dalla Chiesa nel corso delle guerre balcaniche (1912-1913) e della prima guerra mondiale (1914-1918). Il dissolvimento dell’impero ottomano e la nascita del regno di Iugoslavia vedono anche, nel 1918, il ristabilimento del patriarcato di Serbia.
      Il primo patriarca fu Dimitrije Pavlović, vescovo di Belgrado, eletto nel 1920: sotto il suo apostolato furono unite nella Chiesa ortodossa serba unificata le metropolitanie di Montenegro e di Karlovac, le Chiese di Dalmazia, di Bosnia Erzegovina e di Macedonia. Dal 1930 al 1937 fu patriarca Varnava Rosić: in questo periodo fu costruita l’attuale sede del patriarcato a Belgrado. Varnava contrastò duramente il governo che nel 1935 siglò un concordato con la Santa Sede per dare diritti ai fedeli cattolici. Dal 1938 al 1950 sul trono di San Sava sedette Gavrilo Dožić.

  • La storia recente
    • Dopo Gavrilo, sono stati tre i Patriarchi della Chiesa serba: Vikentije Prodanov (1950-1958), German (vero nome Hranislav Đorić, 1958-1990) e Pavle (vero nome Gojko Stojčević) ancora regnante. Durante la seconda guerra mondiale, la Chiesa serba fu duramente colpita dalle forze occupanti degli Ustaša che crearono una Chiesa ortodossa croata in cui si vollero far confluire a forza i Serbi. Il clero fu perseguitato e molte chiese distrutte. Dopo la guerra, nel periodo della Repubblica socialista federale di Iugoslavia, la Chiesa fu ufficialmente di nuovo soppressa poiché il regime comunista volle punirla per i suoi legami con il m movimento nazionalista dei Cetnici: fu impedito ai religiosi di insegnare nelle scuole, i beni ecclesiastici furono confiscati e monaci e sacerdoti furono soggetti ad uno stretto controllo da parte dello Stato. Il graduale disfacimento della Iugoslavia negli anni Ottanta del XX secolo fu accompagnato da un rinato vigore religioso che interessò anche la Chiesa serba. Il patriarca Pavle appoggiò l’opposizione al regime di Slobodan Milošević.
      Un altro grave problema per la Chiesa serba fu il Kosovo. Dopo la disgregazione della Iugoslavia, il Kosovo restava ancora una provincia serba. Tra i Kosovari di etnia serba, minoritari, e quelli di cultura albanese (di religione musulmana), più numerosi, sorsero forti contrasti che diedero vita ad una lunga guerra. La Chiesa serba fu duramente colpita: numerosi monasteri (alcuni dei quali risalgono alle origini del Cristianesimo in Serbia) vennero incendiati e distrutti dagli Albanesi, anche come ritorsione alle operazioni di guerra da parte serba. Attualmente, il Kosovo è amministrato dall’Onu col supporto della Nato: i monasteri cristiani sono sorvegliati dalle truppe armate per evitare che vengano ulteriormente danneggiati.
(G. Dal Ferro)