PROTESTANTESIMO
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IL DRAMMA INTERIORE DI LUTERO

Il bisogno profondo di riforma della Chiesa e la crescita degli Stati europei favorirono l’affermarsi e il diffondersi della Riforma protestante in Europa. Essa fu facilitata però anche dalla scoperta dell’America (1492), la quale portò altrove l’interesse dell’imperatore Carlo V, e dall’invenzione della stampa da parte di Gutenberg (1445), che rese possibile la diffusione degli scritti dei riformatori e della Bibbia. Se l’inizio della Riforma risale a Lutero (1517), non sono da dimenticare movimenti precedenti quali quello valdese con Pietro Valdo (1140-1217), quello dei lollardi con Jan Wyclif (1322-1384) e quello ussita di Giovanni Huss di Praga (+1415). A questi movimenti vanno aggiunti i tentativi di riforma di Gregorio XII (secolo XI), del monachesimo e di Francesco d’Assisi (1182-1226).
La Riforma protestante si rifà a Martin Lutero (1483-1546), anche se in essa confluiscono una molteplicità di cause. “Lutero è stato - scrive Paolo Ricca - per tutta la vita un esegeta della Sacra Scrittura e un predicatore. La Riforma è nata dalla Bibbia, che Lutero investigava a partire da una duplice esigenza: come ottenere il favore di Dio e come giungere alla certezza della salvezza”. Egli si innesta così in una lunga tradizione di critica della Chiesa e di tentativi di rinnovamento già presenti nel tardo Medioevo, rinforzati nel suo tempo dal disfacimento dell’universalità, espresso dall’impero e dall’emergere degli Stati nazionali. La necessità della riforma era invocata da tutti, anche da chi doveva guardare a se stesso, come Adriano VI, che nel 1523 scriveva: “noi riconosciamo liberamente che Dio ha permesso questa persecuzione della Chiesa a causa dei peccati degli uomini e particolarmente dei sacerdoti e dei prelati (…). Tutta la Sacra Scrittura ci insegna che gli errori del popolo hanno come sorgente negli errori del clero (…). Da molto tempo nessuno più fa il bene. Per questo tutti noi dobbiamo onorare Dio e umiliarci davanti a lui”. Il problema semmai era se la Riforma dovesse essere solo delle persone o anche della Chiesa stessa nel suo ordinamento e nella sua struttura.
È noto come, dal 1917 in poi, ci fu una revisione storica nel modo di considerare Lutero. Precedentemente era conosciuto alla luce dei “discorsi conviviali” degli ultimi anni di vita, nei quali i discepoli raccoglievano a tavola le memorie del maestro e riferivano con uno spirito romanzato le vicende ricordate. Da ciò risulta un Lutero con una giovinezza priva di gioia, educato severamente da genitori poveri, in convento obbediente ai rigori della regola, dopo essere entrato perché terrorizzato da un fulmine. Alla fine del 1510 è a Roma, smarrito e scandalizzato. Lucien Febvre conclude questa prima interpretazione: “Il chiostro e Roma avevano fatto, col 1511, di Lutero un luterano”. Successivamente, continua l’autore citato, si cominciano a studiare tutte le opere di Lutero, e in particolare quelle giovanili quali il Commento al “Salterio” e alla lettera ai Romani e si scopre un altro Lutero, non angustiato dall’esterno e neppure scandalizzato dal viaggio a Roma, ma angosciato perché dispera della propria salvezza. Legge il Commentario alle sentenze di Gabriel Biel (+1495), che rifletteva la teologia di Guglielmo d’Occam, il quale sosteneva il valore della ragione e della volontà, per cui l’uomo era in grado di osservare la legge e compiere il bene. Di qui parte la scoperta della “salvezza passiva”, di cui Lutero si fa predicatore instancabile. Egli quindi non è mosso dall’odio per gli abusi, dal desiderio di epurazione, ma dal problema della salvezza; egli si propone di “sostituire una religione del tutto personale che ponesse la creatura, direttamente e senza intermediari, in faccia del suo Dio, sola, senza seguito di meriti o di opere, senza mediazione parassita”.
  • Formazione di Lutero
    Lutero nasce ad Eisleben nel 1483, da famiglia piccolo-contadina, e studia a Mansfeld e a Erfurt, dove si insegna il “nominalismo” di Guglielmo d’Occam. A causa di un fulmine, che colpisce il vicino, invoca S. Anna e promette di entrare in convento (1505), dove entra interrompendo gli studi contro il volere del padre. Assume con serietà la vita monastica e sperimenta le ascesi e le gioie del convento. Studia la “teologia moderna” di Occam ed è inviato a Wittemberg come lettore di filosofia morale. Dopo il baccellerato è incaricato di tenere lezioni sulle sentenze di Pietro Lombardo. Nel 1505 arriva al dottorato. Fino al 1509 si trova a suo agio: studia la Bibbia, insegna a Wittemberg, è a Roma per incarico del superiore Giovanni Staupiz per quattro settimane (1910-1911). A Wittemberg diviene nel 1512 “magister theologiae”, titolo che gli conferisce la consapevolezza del dovere di insegnare la verità, soggettivamente ritenuta tale. A questo punto inizia il suo dramma interiore, “un opprimente sentimento della propria colpevolezza e corruzione, e il timore del giudizio divino”, il quale sfocia nella famosa rivelazione della “torre”, di cui parla nel Commentario al “Salterio” (1513-1515), nel commento alla lettera ai Romani (1515-1516) e alle lettere ai Galati (1516-1517) e agli Ebrei (1517).


  • Angoscia per la salvezza
    In quelli anni Lutero è un monaco pio, scrupoloso, che si applica alla S. Messa e alla preghiera, vittima del dubbio e dell’angoscia per il sentimento di essere abbandonato da Dio: “Queste pene - egli afferma - erano talmente grandi e infernali che nessuna lingua può esprimere, né penna descrivere, né uno che non le abbia sperimentate le può credere”. Egli non riusciva a trovare un Dio benigno nel volontarismo occamista.
    Dopo sforzi inutili, Lutero intravede un lampo improvviso in quella che egli chiama l’“esperienza della torre”. Come si diventa giusti? Egli si chiede. È Dio che dà in dono la giustizia, anche se lascia sussistere il peccato e nulla concede alla moralità naturale. Il peccato rimane, il valore delle opere umane scompare, perché la salvezza proviene solo da Dio, che è amore attivo e rigeneratore: “L’uomo, dopo aver inutilmente lottato con la legge, sarà portato dalla fede fiduciale a mettersi completamente a disposizione di Dio, gettandosi nelle braccia della misericordia divina e lasciando penetrare in sé l’amore di Dio”. Questo amore di Dio è rivelato da Cristo che è “specchio del cuore del Padre”; Dio, guardando a Cristo, non imputa all’uomo il suo peccato, lo ricopre pur rimanendo nell’uomo la sua colpevolezza e la sua volgarità. Sopra la giustificazione, così concepita, s’innesta l’opera di santificazione.
    Tale scoperta, desunta dalla lettera ai Romani, che “il giusto vive di fede” (Rom. 1,17), era un’antica dottrina cattolica, che Lutero riscopre e sviluppa unilateralmente, parlando di natura umana radicalmente corrotta, di concupiscenza inestinguibile, di coesistenza del male e della grazia nell’uomo, di giustificazione legata alla sola fede. Nasce in lui così una opzione spiritualista, opposta agli elementi giuridici, nel concepire la Chiesa e il principio della Scrittura come unica fonte della fede, affidata all’interpretazione del credente. La Chiesa diventa così invisibile, essendo la comunità di quelli che realmente sperimentano in sé la salvezza. La parola di Dio produce la fede, che è l’unico mezzo di salvezza; i sacramenti sono solo conferma sensibile della giustificazione ottenuta mediante la parola divina.
    Ciò provoca in lui grande gioia. L’amore di Dio agisce nell’uomo e le buone opere sono frutto dell’azione di Dio e non potranno meritargli il Paradiso. “L’affermazione - scrive Corrado Algermissen - che nell’uomo fa tutto Dio era talmente viva in lui da spingerlo realmente al bene: per essa egli fu pure liberato dalla tortura degli scrupoli”. Si placa allora il suo animo e ritrova pace, perché scopre che non siamo noi con la nostra volontà a conquistare il cielo, ma è Dio che ci salva. Solo così Lutero si riappacifica ed afferma che il Vangelo non ha tanto lo scopo di darci dei precetti rigidi da osservare, senza che noi siamo in grado di farlo, quanto di annunciare la grandezza di Dio e le grandi opere che la grazia opera in noi. Ciò ci fa sentire peccatori, ma proprio il sentirci peccatori ci apre al desiderio di Dio. È quindi l’atteggiamento di angoscia che porta Lutero a sottolineare la giustificazione per grazia: non siamo noi che ci salviamo con i nostri meriti, ma è Dio che ci salva; noi non facciamo altro che ricevere la grazia. Il Vangelo è un annuncio di salvezza e Lutero ritiene suo dovere comunicare a tutti la scoperta fatta, essendo la salvezza l’unica cosa che conta: “Fu grazie alle proprie ricchezze interiori che Lutero poté fare, di una formula così insignificante per altri, una specie di tesoro pieno di efficacia e di virtù”. Con questi principi, e non tanto con la cattiva situazione della Chiesa d’allora, si spiega la terribile lotta di Lutero contro la gerarchia della Chiesa e la sua feroce diffamazione del papato, che falsificava la dottrina cristiana.


  • L’avventura interiore
    Lutero, secondo Joseph Lortz, fu un uomo religioso, soprattutto negli anni decisivi del suo sviluppo e dell’apparizione in pubblico. Aderente alla Scrittura, ebbe istanze cattoliche e divenne eretico solo per la sua unilaterale interpretazione della “sola fides” e per il rifiuto del sacerdozio sacramentale. Egli esprime un nuovo tipo di religiosità, diversa da quello monastico e clericale del suo tempo, con riferimento alla Scrittura, che per lui era Dio in mezzo a noi. Rimproverava la Chiesa tardomedievale di aver dimenticato la Bibbia a causa dell’amministrazione ecclesiastica e di aver abbandonato i fedeli alla “devotio moderna”.
    Secondo gli autori, Lutero è un uomo rapido, cocciuto, passionale. Manca di sistematicità, avendo un temperamento violento fino all’eccesso. Per lui l’esperienza interiore acquista una importanza decisiva. Lucien Febvre vede in lui l’incapacità di mediazione, per cui precipita talvolta in “ingiurie violente, brutali, senza misura e senza spirito, di una grossolanità che ben presto supererà ogni limite”. C’è in lui, continua l’autore, un puro sangue, una fierezza verginale e selvaggia dell’animale in corsa, che non vuole essere superato da un altro. Allo Staupiz scrive: non sono padrone di me, avendo sempre un atteggiamento di sfida. Egli non è un logico come Erasmo; diventa un profeta e in questa veste straordinaria si trova a capo di una Germania anarchica, alla quale dà la sua passione. Al centro della sua azione c’è la convinzione che Dio parli, che abbia parlato e continui a parlare oggi, e Lutero vuole essere servitore della Scrittura, che interpreta e di cui diviene maestro di interpretazione. Lutero acquisisce una nuova cognizione di esegeta scientifico, senza ignorare l’esegesi della Chiesa. Per lui anche i singoli possono parlare nello Spirito Santo. Il suo presupposto, osserva Joseph Lortz, era che la sua interpretazione corrispondeva alla Scrittura: “Lutero non fu mai completamente ‘uditore’ della parola, per quanto egli volesse veramente esserlo. (…) Questo (…) non ha in sé nulla a che vedere con l’intenzione egoistica, con la cattiva volontà. Dal punto di vista della coscienza di Lutero il suo soggettivismo è ubbidienza verso la verità conosciuta”.
    “A suo giudizio il cristiano è per definizione un mendicante di Dio, proprio perché ha sempre bisogno di ‘chiedere’ (mendicare) (…). E tale richiesta di salvezza trova l’espressione più vera ed alta nella preghiera continua, fiduciosa, insistente, fervorosa”. “Lutero è stato personalmente - scrive Marc Lienhard - un uomo di assidua e robusta orazione, come si evince, oltre che dalle molte orazioni, invocazioni, suppliche, giaculatorie di cui sono costellati i suoi scritti, anche dal suo modo di insegnare agli altri a pregare”. La preghiera era per lui l’unico sostegno vitale nei momenti difficili dell’esistenza, accolta da Dio per pura misericordia e per pura grazia. Egli affermava che alla preghiera “pregata” va dedicato del tempo ogni giorno, e ad essa occorre accostarsi con cura e serenità. Per il suo riferimento a Dio e alla Parola egli si contrappone alle forme di pietà della “devotio moderna”, che rassicurava il fedele della salvezza mediante le opere, esprimendo le linee della teologia della croce, che caratterizza appunto ancor oggi il luteranesimo.
(G. Dal Ferro)