INDU´
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INDU´ PRINCIPI ISPIRATORI

L’INDUISMO, RELIGIOSITÀ COSMICA

L’Oriente respira religione come l’Occidente respira razionalità e tecnica. In India, pur non essendovi regole comuni religiose e periodiche assemblee dei credenti, tutta la vita è impregnata di religiosità, cosicchè i gesti, anche i più insignificanti, diventano “riti”.
La nascita dell’Induismo risale all’arrivo degli Ariani dal 2000 al 1500 a.C. nella fertile pianura del Gange. Cavalieri intelligenti e fantasiosi, ricchi di un alfabeto, si costituirono come sacerdoti (brahmani).
Da allora incominciò la vasta letteratura sanscrita e con essa la maggior tradizione religiosa e culturale dell’Oriente.
  • I libri sacri
    I libri Veda raccolgono la sapienza antica comunicata per illuminazione. Non sono rivelazioni di Dio, ma opera di saggi, che hanno veduto ed hanno fatto una esperienza superiore. In essi è presentata la natura che celebra incessantemente un sacrificio per noi e in questo modo ci consente di vivere: “il sole si consuma perchè io sia riscaldato, l’aria si inquina perchè io sia ossigenato, l’acqua si sporca perchè io sia lavato, la terra si esaurisce perchè io sia nutrito”. Di conseguenza l’uomo celebra la natura e considera atti di ringraziamento (rito) tutti i propri gesti; egli sente di essere un tutt’uno con il cosmo dal quale proviene ed al quale ritorna, per poi rinascere ancora.
    Nel secolo VI a.C., di fronte ai brahmani che usavano i riti per il proprio prestigio personale, i sapienti si ritirarono a riflettere nelle foreste e scrissero altri libri, le Upanishads, che sono una riflessione su Dio, sul mondo e sull’anima. A questi saggi il mondo appare come un’illusione; solo il Brahman esiste, come oceano di energia. Nel profondo dell’uomo però, nel suo cuore, abita l’Atman, che è una cosa sola con il Brahman, costretto a rimanere incarnato a causa dell’agire umano carico di intenzionalità (karma). Da queste considerazioni prende il via la ricerca ascetica, finalizzata ad uscire dalle rinascite e consentire il ricongiungimento dell’Atman con il Brahman.
    Infine, nel II secolo a.C., la Bahagavad Gita, nuovo libro inserito in una delle epopee indiane, restituisce al popolo la religione, parlando il linguaggio dell’amore (Bhakti): “Io (Dio) gradisco l’offerta di una foglia, di un fiore, di un frutto, di acqua se fatta con cuore puro e devoto”.


  • Il Dio dai molti nomi
    L’Induismo non ha un fondatore e neppure una rivelazione divina. E’ la religione al singolare, cioè ancorata al cosmo, dal quale attinge il modo di essere e di vivere.
    Il popolo, è vero, sembra rivolgersi a molti dei, fra i quali i tre (trimurti): Brahmá (creatore), Víshnu (conservatore) e Shivá (distruttore o rigeneratore). Accanto a loro, onora figure femminili (Sakti) e i discesi sulla terra per aiutare in circostanze particolari gli uomini (avatára). E’ fondamentale però al riguardo un passo dei Veda, il quale afferma che “Dio è quell’uno che i sapienti ci hanno insegnato a chiamare con tanti nomi, ma nessun nome lo contiene. Egli è al di là dei nomi e delle forme”. Pur trattandosi di un unico Assoluto, esso non è distinto dal mondo: è l’oceano di energia che tutto alimenta e fa vivere.


  • La difficile liberazione
    Per l’uomo sovrasta la liberazione dalle rinascite (Samsára) o almeno la ricerca, attraverso l’accettazione della propria condizione, di una vita futura accettabile.
    A tale proposito tre sono le vie principali attraverso le quali si può raggiungere la liberazione:
    • la via della conoscenza: attraverso lo Yoga l’individuo si impadronisce totalmente di sé, al punto di annullarsi, e in tal modo poter fare esperienza del Brahman (Adváita);
    • la via delle opere: è la vita vissuta come rito, come mistica partecipazione cosmica;
    • la via della dedizione amorosa: “qualunque cosa facciate... offritela a me... poiché tutti coloro che così fanno, verranno a me”.
    Nell’Induismo, accanto ad una folla che quotidianamente celebra al Gange o agli altri fiumi sacri la vita come rito oppure che porta le sue offerte (puja) al tempio, i santoni (sadhu) intraprendono la via difficile della liberazione, abbandonando la famiglia per vivere nelle selve o lungo i fiumi, senza casa, nutrendosi di frutta selvatica e di radici di piante e di arbusti: “Quando tutti i desideri che erano riposti nel cuore si annullano, allora il mortale diventa immortale e già quaggiù gode il Brahman”. E’ la vita di chi è divenuto Sannyasin, cioè veramente libero.
    Per la massa del popolo la ricerca di salvezza avviene nei templi, nei fiumi sacri, nei centri di pellegrinaggio, con devozione e magia, preghiere e rito, astrologia e rituali, purificazione dalle colpe ed acquisto di meriti, penitenze, auto punizioni ed ingenuità; sarà una liberazione minore la loro o sarà soltanto la ricerca di una rinascita in una condizione migliore di vita.


  • Un confronto arricchente
    L’Induismo è una religione molto diversa dal Cristianesimo, non avendo un Dio creatore distinto dal mondo, una rivelazione che è parola di Dio, un redentore come Gesù Cristo. Eppure chi va in India rimane affascinato dal misticismo ivi presente, che trasforma tutte le cose in religiose.
    I cristiani dagli indù possono imparare la priorità della religione nella vita, la necessità di una ricerca del senso profondo delle cose, la capacità di autodominio personale, l’utilità di un continuo pellegrinaggio alla ricerca dell’unità in una esistenza frammentaria. Dagli indù si apprende una ritualità diffusa, che fa dei gesti quotidiani una lode perenne a Dio.
    Da parte loro i cristiani possono diventare per questi popoli “testimonianza della carità”, annuncio di un amore che si è espresso al limite delle possibilità umane nel sacrificio della croce di Cristo, per unire l’intera umanità nell’unica famiglia di Dio.
(G. Dal Ferro)